Per motivi diversi i papaveri sono stati legati alla guerra.
Un primo aspetto è simbolico. È storia antica, che risale ai tempi di Gengis Khan (1162-1227). Pare che il condottiero mongolo portasse sempre con sé dei semi di papavero da spargere sui campi di battaglia dopo le sue vittorie, a onore e in ricordo di coloro che vi erano caduti.
Anche i samurai giapponesi tenevano in gran conto i papaveri rossi, che per associazione diretta ricordano il sangue versato.
La sensibilità zen va oltre la simbologia immediata, come in questo componimento (haiku) di Matsuo Bashō (1689):
Tracce d’un sogno
di guerrieri
nell’erba d’estate
Con le stragi moderne, il riferimento si è ulteriormente precisato.
Dai campi delle Fiandre nei pressi di Ypres – dove in quattro anni di combattimenti (1914-18) si ebbero circa 700.000 morti – e dalla penna del colonnello medico John McCrae del contingente canadese, nacque questa poesia spesso citata: ‘In Flanders field’; non esattamente pacifista – nel senso dei ‘mille papaveri rossi’ di Fabrizio De André -, che nell’ultima strofa invoca la vendetta ed ulteriori combattimenti:
Sui campi delle Fiandre spuntano i papaveri
tra le croci, fila dopo fila,
che ci segnano il posto; e nel cielo
le allodole, cantando ancora con coraggio,
volano appena udite tra i cannoni, sotto.
Noi siamo i Morti. Pochi giorni fa
eravamo vivi, sentivamo l’alba, vedevamo
risplendere il tramonto, amavamo ed eravamo amati.
Ma adesso giacciamo sui campi delle Fiandre.
Riprendete voi la lotta col nemico:
a voi passiamo la torcia, con le nostre
mani cadenti, e siano le vostre a tenerla alta.
e se non ci ricorderete, noi che moriamo,
non dormiremo, anche se i papaveri
cresceranno sui campi delle Fiandre.
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Nel mondo anglosassone il papavero rosso dei campi (Papaver rhoeas) è tradizionalmente dedicato alla memoria delle vittime sui campi di battaglia; in particolare della Prima, per estensione della Seconda guerra mondiale. È il ‘Remembrance Day’, in cui tutti portano un papavero rosso all’occhiello.
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Di altro segno il coinvolgimento, non del papavero ma dei derivati dell’oppio, nella seconda Guerra Mondiale.
La maggior conoscenza degli effetti delle ‘droghe’ aveva portato i comandi militari ad incoraggiarne l’uso tra le truppe; in particolare tra i piloti che andavano a bombardare le città (…spargere sale sopra le ferite della città – avrebbe cantato De Gregori in ‘Pilota di Guerra’). Si trattava di operazioni particolarmente impegnative dal punto di vista psicologico: come il bombardamento di Coventry da parte della Luftwaffe (11 agosto 1940) o di Dresda da parte delle forze alleate – la Royal Air Force britannica e la United States Army Air Force statunitense – tra il 13 e il 15 febbraio 1945. Una cronaca impareggiabile di questo evento – che costò la vita ad un numero enorme di persone (tra le 150 e le 250 mila in diverse stime), è riportata nel romanzo di Kurt Vonnegut – ‘Mattatoio n. 5′ – Slaughterhouse-Five (1969) – che si trovava prigioniero nella città tedesca.
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Ebbene, i piloti che compivano questo tipo di ‘missioni’ avevano bisogno di alterare la coscienza in qualche modo; i mezzi messi a disposizione dalla tecnica farmacologica – dispensati con liberalità dai comandi militari – erano l’assunzione contemporanea di eroina: per la freddezza, il distacco e la noncuranza del pericolo, e di cocaina, per la componente di aggressività e prontezza di riflessi ad essa associata.
Come dire premere contemporaneamente sul freno e sull’acceleratore. Un uso che sarà ripreso negli anni tra il ’70 e l”80 con la immissione sul mercato della ‘speedball’ (letteralmente ‘palla veloce’ o ‘fucilata’) una micidiale miscela di cocaina ed eroina, dagli effetti variabili e impredicibili, dipendenti da piccole variazione nel bilanciamento rispettivo delle due sostanze, dalla relativa durata d’azione e, non ultima, dalla reazione soggettiva dell’organismo ricevente.
Ancora una volta in tempo di guerra, tra gli altri mali, trovano terreno e diffusione le droghe, che continueranno ad espandersi in seno alla società civile negli anni successivi.
Abbiamo già registrato l’ampio impiego della morfina nelle guerre ottocentesche (V. su “O”, nella terza parte ); in più, dalla campagna di Napoleone in nord-Africa (1798-’99), le truppe francesi importano e diffondono in patria l’hashish; la Seconda Guerra Mondiale ‘lancia’ l’eroina che prenderà piede come ‘piaga sociale’ negli Stati Uniti e nell’inghilterra dal dopoguerra in poi.
È già un problema l’eroina – insieme all’alcool – tra gli anni ’50 e ’60, ai tempi della ‘beat generation’ di Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William Burroughs e gli altri, e comincia a radicarsi stabilmente tra i giovani.
Del 1955 è ‘L’urlo’, Howl, di Allen Ginsberg, con l’attacco folgorante:
“I saw the best minds of my generation destroyed by madness,
starving hysterical naked,
dragging themselves through the negro streets at dawn
looking for an angry fix,…”
(“Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla pazzia, morir di fame, nude, isteriche, trascinandosi all’alba per le strade di quartieri negri alla ricerca di una dose rabbiosa di eroina, …”)
In seguito è la guerra del Vietnam (1962-’75) a riportare in America una massa di reduci feriti nel corpo e nell’anima che continuano ad usare largamente le stesse sostanze imparate a maneggiare durante la guerra; le uniche in grado di placare in qualche modo i loro tormenti.
E giungiamo ad un’epoca ancor più recente: alla massiccia introduzione delle ‘droghe’ in gran parte dell’Europa e in Italia; soprattutto dell’eroina, che al tempo costituisce il commercio più lucroso.
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Chi ha lavorato al Pronto Soccorso di uno qualunque degli ospedali romani in quegli anni, ricorda bene l’invasione dell’eroina – quasi un’epidemia di ‘overdose’ -: ragazzi raccolti sui marciapiedi o sui greti del Tevere, cianotici, con la siringa ancora infilata nel braccio…
Due o tre morti per notte nell’area metropolitana erano un bilancio comune in quel periodo, oltre ai tanti ‘ripresi per i capelli’. Una sequenza che sembrava inarrestabile..!
Successivamente le politiche delle centrali internazionali del traffico delle droghe si orientano diversamente. Il consumo di sostanze psicoattive – d’abuso e illegali – si radica stabilmente nella società, a tutti i livelli. Il ‘mercato’ offre un’amplissima scelta di ‘droghe’; per ogni necessità e alla portata di tutte le tasche. Con il viraggio del mercato, la sequela di morti da eroina ha termine. La disponibilità delle droghe nella nostra società diventa un fatto acquisito e diffuso, anche se sostanze diverse si avvicendano nei consumi di massa. Gli anni ‘’90, la fine del millennio e gli anni recenti fanno registrare il crescente successo della cocaina…
Il papavero è attualmente coltivato – illegalmente, ma anche in modo legale, per il fabbisogno farmaceutico – in molti paesi. La facile adattabilità a diversi climi rende il suo areale di distribuzione simile a quello dei cereali; come pianta, non sopporta solo i climi polari o desertici; teme il gelo, la grandine e la siccità.
Nei climi temperati la semina avviene all’inizio della primavera e la pianta fiorisce fra inizio maggio e fine giugno. Nei climi tropicali, come in India e nel sud-est asiatico, la semina si fa in ottobre-novembre e il raccolto in febbraio-marzo. Quando le pianticelle sono alte pochi centimetri, il campo viene diradato, lasciando solo file ben distanziate. Dopo circa tre mesi dalla germinazione la pianta raggiunge la maturità e fiorisce.
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È nozione comune che le più grandi estensioni al mondo di terreni coltivati a papavero per la produzione illecita di oppio e/o eroina, siano le zone del cosiddetto ‘Triangolo d’oro’, costituito da Birmania, Laos e Thailandia e della ‘Mezzaluna d’oro’: Afghanistan, Iran e Pakistan. Ma i rispettivi contributi alla produzione sono enormemente cambiati negli ultimi trent’anni e forse questa distinzione non ha più motivo di essere mantenuta.
Nel 1970 infatti, il 67% della produzione illecita mondiale di oppio deriva dal ‘Triangolo d’oro’; ad essa la sola Birmania contribuisce per il 47%. L’Afghanistan, dalla parte della ‘Mezzaluna d’oro’, copre solo il 10 % della produzione.
Ancora nel 1989 la Birmania, per una serie di motivi legati alla politica interna del paese, costituisce il maggior produttore mondiale di oppio. Ma la sfida alla sua supremazia viene insidiata dall’Afghanistan, la cui produzione aumenta dell’ottocento per cento in trent’anni (!); considerando un periodo più ristretto passa dalle 130 tonnellate nel 1970 alle 1200 tonn. nel 1989.
In seguito, mentre Thailandia, Laos e Pakistan riducono drasticamente i quantitativi prodotti, le estensioni di terreno coltivate a oppio aumentano in Birmania e in Afghanistan. Fino a che nel 2007 l’Afghanistan si afferma come il paese al mondo a maggior produzione illecita di oppio: le quantità immesse sul mercato assommano alla cifra enorme di 8200 tonn. pari al 93% della produzione mondiale; cioè più oppio di quanto se ne producesse nel mondo intero nel 2006 (6.610 tonnellate). Dal quantitativo globale di oppio grezzo, di cui poco più della metà è commercializzato come tale, è possibile calcolare il corrispettivo in eroina – da 100 tonn. di oppio si ottengono 10 tonn. di eroina, il 10% circa -: una sostanza che per i suoi effetti – e anche per la sua leggerezza – offre condizioni di grande commerciabilità.
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Il mercato delle ‘droghe’ intese nella loro globalità, comporta un giro d’affari di circa 200 miliardi di dollari, cioè circa un quinto del commercio mondiale complessivo; esso rappresenta il più grande affare del mondo, diciotto volte maggiore di quello dell’oro (11 miliardi), quaranta volte maggiore di quello dei diamanti (5 miliardi).
Non si può non pensare alla miriade di interessi, da parte dei governi, delle grandi banche mondiali e dei centri di potere – criminali come le multinazionali della droga, ma anche con copertura legale – in un affare così enorme.
In realtà sono circa cento anni che i governi mondiali affrontano a diversi livelli – normativo, economico e anche militare – il problema della diffusione delle droghe; dei derivati dell’oppio in particolare.
La conferenza internazionale sull’oppio di Shangai – un primo tentativo di coinvolgere numerosi paesi in una definizione e regolamentazione della produzione e del commercio di oppio – venne convocata nel 1909. Da allora la produzione e il consumo sono aumentati in maniera esponenziale; visti i risultati, è lecito pensare che ci sia stato qualcosa di fondamentalmente sbagliato nell’approccio al problema.
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Di fatto dal lancio, negli anni ’70, di una campagna globale di guerra alla droga (‘War on drugs’, 1969) da parte dell’amministrazione Nixon, la repressione si è dimostrata non solo inefficace, ma anche controproducente, come ha dovuto riconoscere nel 2009 la nuova amministrazione Obama.
Sempre più evidenti sono i rapporti tra le condizioni socio-politiche di un paese e il suo contributo alla produzione illecita dell’oppio. L’antica e anche recente instabilità geo-politica delle regioni asiatiche certo non contribuiscono alla soluzione del problema; in particolare le colture illecite
sono più floride proprio nelle regioni in cui guerra e miseria si sovrappongono. I casi di Birmania e Afghanistan sono emblematici, al riguardo.
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Da un certo punto in poi, nella storia più recente, il contrasto alla produzione di sostanze oppiacee si interseca con le ragioni della guerra al terrorismo. Le due situazioni mostrano più di un legame tra loro, in Asia e altrove. Le guerre locali in Afghanistan e in Pakistan hanno dato nuovo impulso alla produzione illecita di oppio, la quale a sua volta può servire a finanziare il terrorismo; il rischio è che l’emergenza terrorismo scinda i due aspetti e metta in sottordine l’impegno a sradicare il commercio illegale di oppio.
Quel che soprattutto appare evidente è che c‘è una rapidissima evoluzione in questo campo. Il panorama delle droghe d’abuso appare come un’Idra dalle molte teste: da ogni problema risolto sembrano originarne altri, in un processo continuo. Così le sigle ‘Triangolo d’oro’ e ‘Mezzaluna d’oro’, ormai obsolete; così i cambiamenti degli obbiettivi e dei mezzi per il controllo. Inoltre ogni droga ha una storia a sé, per produzione, effetti, dipendenza e tipo di consumatore, già se si considerano le due che più impegnano al contenimento: oppiacei e cocaina. Poi ci sono tutte le altre…
Una confusione e un’accelerazione che sembrano per certi versi possedere una dinamica propria, inarrestabile e autodistruttiva.
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È sconcertante come seguendo il filo di un fiore dei campi, si possa arrivare al cuore di tenebra dell’uomo; aspetti che, pur senza il nostro personale consenso, prendiamo atto essere una componente irriducibile dell’umanità.
Con occhio disincantato e consapevole, registriamo ogni notizia sulle droghe e sul papavero; siamo interessati ai cambiamenti e alle novità nel campo. Alle sconfitte come alle speranze. Ma non sono buone le notizie dal fronte occidentale. Nè da quello orientale, del resto.
Perciò gioiamo, e cantiamo… E danziamo …E celebriamo una nuova Atlantide… (…let us rejoice and let us sing and dance, and ring in the new… Hail Atlantis!
[Da Atlantis, by Donovan; 1969]
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Una varietà azzurra di papavero. Meconopsis betonicifolia – Fam. Papaveraceae: il papavero blu himalayano, scoperto nel 1886 da Pére Delavay, un missionario cattolico francese
[Papavero da oppio. Una pianta e un fiore tra le pagine della storia. 4 (Fine)]