L’ombretto

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Illustrazione di Agrin Amedì
«Vabbè sbrigati, comincia tra dieci minuti.» Manuela interruppe il silenzio. «Lo so, però ci sono sempre almeno quindici minuti di pubblicità prima che inizi il film.» «Non sono pubblicità, sono trailer dei prossimi film»… Valeria Pansini mette in scena una brillante commedia dal sapore tenero, graffiante.

«Vabbè sbrigati, comincia tra dieci minuti.» Manuela interruppe il silenzio.
«Lo so, però ci sono sempre almeno quindici minuti di pubblicità prima che inizi il film.»
«Non sono pubblicità, sono trailer dei prossimi film, e io voglio vedere che danno.»
«Basta guardare su Internet, vai su mymovies, lì c’è tutto.»
«È diverso col trailer, ti fai un’idea più chiara.»
«È vero, poi però regolarmente uno si dimentica.»
«Io faccio le foto allo schermo quando decido che un film lo voglio vedere, così non mi scordo.»
«Anche io le facevo, poi però mi dimenticavo di guardare le foto ed era la stessa cosa. Allora ho smesso.» Virginia fece un risolino spegnendo il mozzicone. Entrambe presero i cellulari poggiati sul tavolino e li misero in borsetta. Poggiandosi al bastone per alzarsi, Manuela si avvicinò al viso di Virginia.
«Ti si è sbavato l’ombretto» disse con tono piatto.
«Non ho messo l’ombretto» rispose Virginia facendo spallucce.
«Come no? Hai tutta la palpebra verde!» incalzò Manuela risedendosi.
«Ti dico che non ho messo l’ombretto!»
«E io ti dico che ce l’hai.»
«Ma saprò bene io se mi sono truccata o no?»
«Ma saprò bene io cosa vedono i miei occhi?»
«Manuela, non mi sono truccata gli occhi!»
«Hai le palpebre verdi tutte sbavate.» Il tono delle loro voci aveva cominciato ad alzarsi e un uomo seduto al tavolino accanto si era girato a guardarle.
Manuela a quel punto frugò nella borsetta, tirò fuori il cellulare e le scattò una fotografia.
«Ecco qua» disse trionfante mostrandole lo schermo del cellulare.
«Allora ce l’hai o no quest’ombretto? O vuoi ancora negare?»
Virginia avvicinò lo schermo fin quasi sul naso e guardò la fotografia. Le palpebre erano coperte da vaghe sbavature verdastre. Dopo un attimo di riflessione alzò gli occhi verso Manuela e chiese:
«Aspetta un attimo…. Ma tu hai la matita verde per gli occhi?».
«Sì.»
«Ecco cos’è successo! Quando mi sono truccata a casa tua ero convinta di avere messo un eyeliner nero e invece era una matita verde – che ovviamente non ha tenuto!» esclamò Virginia con una risatina.
«Lo vedi che avevo ragione?» esclamò con aria di trionfo Manuela.
«Beh, se è per questo avevo ragione anche io! Ti avevo detto che non avevo messo l’ombretto!»
«No cara, tu hai detto che non ti eri truccata gli occhi. E invece sì che te li eri truccati…»
«Ma no, io ho detto che non avevo messo l’ombretto, e dicevo la verità.»
«Sì, ma poi hai insistito che non ti eri truccata gli occhi. Perché, mettere l’eyeliner non è forse truccarsi gli occhi?»
«Sì, è vero, ma nel contesto tu continuavi a parlare di ombretto e io, che ero sicura di non averlo messo, ti ho detto di no.»
«La verità è che tu per partito preso se io ti dico una cosa non mi credi. Ho dovuto farti una fotografia perché tu mi credessi.»
«Ma certo che non ti potevo credere! Come facevo a credere di avere l’ombretto verde se ero certa di non averlo messo?»
«Ma se ti stavo dicendo che avevi l’ombretto sbavato, che era esattamente quel che vedevo!»
«La verità è che tu devi avere sempre e per forza ragione» sbottò infine Virginia.
Le era passata completamente la voglia di andare al cinema. Manuela si rialzò battendo con rabbia il bastone per terra e guardandola dall’alto ribatté con cattiveria:
«Avere ragione con te è partita facile» e si avviò verso l’entrata del cinema. Virginia la seguì svogliatamente, poi si bloccò sulla porta d’ingresso del cinema.
«Sai che c’è? Lo sai che c’è, Manuela? Si è trattato di un semplice malinteso, avevamo ragione e torto tutte e due, entrambe dicevamo la verità, e se fossimo due persone normali ci saremmo fatte una grassa risata. Invece con te è tutta una competizione, non riesci a vedere il punto di vista dell’altro. Ti rendi conto che ti sei stizzita perché non ho creduto ciecamente a quello che dicevi? Ti rendi conto che stiamo a discutere del nulla da un quarto d’ora? Ma che hai? Chi ti credi di essere? Tu e il tuo delirio di onnipotenza!» L’espressione alterata, la voce rotta, Virginia si guardava intorno accorgendosi che i passanti le guardavano.
«Delirio di onnipotenza io? Sei tu che ti senti perseguitata e che hai ancora bisogno di conferme nella tua vita!»
Era troppo. La rabbia e la frustrazione fecero mancare il fiato a Virginia mentre Manuela, tutta presa a ostentare sicurezza, inciampò nel gradino e perse pericolosamente l’equilibrio. La sua espressione atterrita nel cercare un appiglio cancellò completamente lo sguardo di sfida che le aveva definito il volto fino a quel momento, lasciando spazio alla sua fragilità fisica. Virginia la afferrò prontamente dalle braccia evitandole la caduta. La trattenne per qualche secondo tenendola dalle ascelle e avvertì tutta la paura di Manuela. La aiutò a sollevarsi poi, dicendole sottovoce: «Andiamo, che il film è iniziato».

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